Sostenibilità senza trasparenza? Il monito della BCE sulle semplificazioni normative

15/05/2025

La sostenibilità è ormai parte integrante della governance economica europea, ma la sua efficacia dipende da un presupposto cruciale: la disponibilità di dati chiari, standardizzati e affidabili. Da questa premessa parte l’opinione pubblicata dalla Banca Centrale Europea (BCE) l’8 maggio 2025 sul pacchetto “Omnibus I” proposto dalla Commissione europea per semplificare gli obblighi di rendicontazione e due diligence in materia ESG. Un documento tecnico, ma dal valore politico ed economico tutt’altro che marginale.

La Commissione ha giustificato l’Omnibus I con l’obiettivo di ridurre gli oneri amministrativi sulle imprese, in particolare sulle PMI, nel contesto di un rallentamento economico e di un carico normativo percepito da molti come eccessivo. Le modifiche più discusse riguardano la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), uno dei pilastri della strategia europea sulla finanza sostenibile. La direttiva, entrata in vigore nel 2023, ha l’obiettivo di estendere il perimetro della rendicontazione ESG da circa 12.000 a oltre 50.000 imprese europee, introducendo standard dettagliati (gli ESRS – European Sustainability Reporting Standards) che coprono impatti ambientali, sociali e di governance.

Il pacchetto Omnibus, tuttavia, ne cambierebbe significativamente la portata: innalzamento della soglia dimensionale a 1.000 dipendenti, esclusione di aziende con fatturati inferiori a 50 milioni di euro, eliminazione degli standard settoriali previsti e forte riduzione dei datapoint obbligatori. Il risultato? Secondo le stime, circa l’80% delle imprese originariamente incluse uscirebbero dal campo di applicazione della CSRD.

È proprio su questo punto che la BCE solleva le maggiori preoccupazioni. Nel suo parere pubblicato il giorno 8 maggio, l’istituzione di Francoforte riconosce l’esigenza di alleggerire il carico burocratico, ma mette in guardia contro il rischio di un indebolimento sistemico dell’infrastruttura informativa che sorregge l’intera transizione sostenibile. Ridurre troppo la platea delle imprese obbligate a rendicontare significherebbe, secondo la BCE, compromettere la capacità degli investitori, delle banche centrali, delle autorità di vigilanza e dei policy maker di valutare correttamente i rischi ESG e indirizzare i capitali in modo coerente con gli obiettivi dell’Unione.

La BCE si concentra su tre aspetti cruciali. Primo: la disponibilità di informazioni ESG è fondamentale per garantire la stabilità finanziaria e la solidità della politica monetaria. Rischi fisici e di transizione legati al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità hanno impatti strutturali sulla dinamica economica e sui mercati finanziari. Senza dati armonizzati e comparabili, questi rischi non possono essere gestiti in modo efficace. Secondo: la BCE contesta la logica secondo cui i rischi ESG sarebbero proporzionali alla dimensione dell’impresa. In realtà, molte aziende medio-piccole – incluse alcune banche – sono esposte a rischi significativi, soprattutto in settori ad alta intensità di carbonio. L’esclusione automatica delle imprese sotto i 1.000 dipendenti rappresenterebbe quindi una semplificazione eccessiva e pericolosa. Terzo: la BCE sottolinea le conseguenze in termini di perdita di coerenza e comparabilità dei dati, specialmente in un contesto globale. L’ampliamento del campo d’applicazione della CSRD alle imprese extra-UE, previsto dalla Commissione, rischia di generare distorsioni e svantaggi competitivi per le imprese europee, se non accompagnato da obblighi equivalenti per i player esterni. In questo senso, l’istituzione suggerisce di rivedere anche questa parte della proposta.

Qual è allora la proposta della BCE? Invece di escludere le imprese tra i 500 e i 1.000 dipendenti, suggerisce l’introduzione di standard di rendicontazione proporzionati, più semplici, ma comunque obbligatori. Una sorta di “semplificazione intelligente” che consenta di mantenere l’accesso ai dati essenziali, senza soffocare le imprese con oneri sproporzionati. Allo stesso tempo, la BCE avverte che uno standard volontario (come quello pensato per le micro-imprese) rischia di incentivare la self-selection: solo le imprese con performance ESG elevate potrebbero scegliere di rendicontare, falsando l’immagine del sistema economico europeo e aprendo la porta al greenwashing.

La questione della riduzione dei datapoint è un altro nodo critico. Se da un lato è comprensibile l’esigenza di semplificazione, dall’altro non tutti i dati sono ugualmente sacrificabili. La BCE chiede che vengano mantenuti i datapoint chiave relativi al cambiamento climatico (ESRS E1), ma anche quelli su biodiversità (ESRS E4) e aspetti sociali rilevanti, poiché indispensabili per valutazioni prudenziali e macroeconomiche. Anche la cancellazione degli standard settoriali viene vista con preoccupazione: in loro assenza, la BCE raccomanda l’adozione di linee guida per settore che aiutino a garantire uniformità di interpretazione e comparabilità.

Dietro a queste osservazioni tecniche si cela una questione politica di più ampio respiro: quale ruolo vuole davvero giocare l’Unione europea nella governance globale della sostenibilità? La forza della CSRD risiede proprio nella sua ambizione sistemica: creare un linguaggio comune, affidabile, trasparente e accessibile per tutti gli attori del mercato. Arretrare ora, per quanto giustificato da esigenze congiunturali, rischia di indebolire la credibilità dell’Europa come leader in materia ESG.

La BCE non è la sola a lanciare questo allarme. Anche autorità di vigilanza, investitori istituzionali e associazioni di categoria hanno espresso preoccupazioni analoghe. Le imprese – specialmente quelle che operano nei mercati internazionali – chiedono chiarezza, coerenza e prevedibilità. Non si tratta più solo di compliance, ma di strategia industriale, competitività e accesso al capitale.

In sintesi, la sfida è duplice: evitare il sovraccarico normativo, ma anche garantire che la transizione sostenibile sia guidata da informazioni solide, verificate e comparabili. La voce della BCE, in questo contesto, non va interpretata come un ostacolo alla semplificazione, ma come un richiamo alla responsabilità sistemica. Se davvero vogliamo costruire un’Europa climaticamente neutra, resiliente e socialmente coesa, non possiamo permetterci di navigare al buio.