Direttiva Omnibus: lavori (ancora) in corso
Nel quadro del pacchetto legislativo Omnibus, presentato dalla Commissione europea nel febbraio 2025 (COM/2025/81 final) e volto a semplificare gli obblighi di rendicontazione per le imprese europee, si è recentemente consolidato un accordo politico che modifica in modo sostanziale la portata della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD).
L’intesa è stata promossa dal deputato europeo svedese Jörgen Warborn, relatore per il gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), che ha esercitato una forte pressione sui gruppi parlamentari affinché accettassero la versione riformulata delle direttive. Tuttavia, nella seduta plenaria del 22 ottobre 2025, il Parlamento europeo ha respinto il mandato negoziale proposto dalla Commissione per gli Affari Giuridici (JURI) con 318 voti contrari, 309 favorevoli e 34 astensioni, impedendo così l’avvio dei negoziati in trilogo. La bocciatura, avvenuta a sorpresa e protetta dal meccanismo del voto segreto, ha evidenziato una profonda spaccatura politica sul futuro del Green Deal europeo e sulle modalità di semplificazione normativa.
La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha chiarito che il processo legislativo non è concluso e che il dossier sarà riesaminato nella sessione plenaria di novembre.
Allo stato dei fatti, le modifiche proposte da JURI, e per ora bocciate in attesa del voto di novembre per procedere alla discussione nel trilogo tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo, prevedono un innalzamento significativo delle soglie di applicazione delle direttive. Per la CSRD, l’obbligo di rendicontazione verrebbe limitato alle imprese con fatturato netto superiore a 450 milioni di euro e almeno 1.000 dipendenti, escludendo così gran parte delle medie imprese europee. La versione originaria della direttiva (2022) fissava la soglia a 250 dipendenti o 40 milioni di fatturato, coinvolgendo circa 55.000 aziende nell’Unione.
Parallelamente, la CSDDD è oggetto di discussione per una possibile limitazione degli obblighi di due diligence alle imprese di dimensioni molto grandi. Secondo fonti del Consiglio UE, è stata avanzata l’ipotesi di innalzare la soglia a 5.000 dipendenti e 1,5 miliardi di fatturato, restringendo il campo di applicazione della direttiva a meno dell’1% delle imprese europee. Una revisione drastica, che solleva interrogativi sulla capacità dell’Unione di garantire il rispetto dei diritti umani e degli standard ambientali lungo le catene di fornitura globali.
A fronte di questa riduzione normativa, per colmare il vuoto lasciato da una CSRD più selettiva, lo European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) ha avviato una consultazione pubblica sul Voluntary Sustainability Reporting Standard for Small and Medium Enterprises (VSME). Lo standard propone un quadro semplificato di rendicontazione ESG per le imprese di piccole e medie dimensioni. Tuttavia, la natura volontaria del VSME solleva interrogativi sulla coerenza e l’efficacia complessiva della trasparenza sostenibile nel mercato europeo.
La revisione del pacchetto Omnibus potrebbe segnare una fase di svolta per la politica di sostenibilità dell’UE. Se da un lato è accolta da alcuni ambienti imprenditoriali come una misura necessaria per ridurre gli oneri amministrativi, dall’altro suscita preoccupazioni tra organizzazioni della società civile, esperti ambientali e rappresentanti del mondo accademico, che vi intravedono un arretramento rispetto agli obiettivi del Green Deal europeo.
In questo scenario di ridefinizione normativa e di crescente complessità, resta centrale il contributo offerto dal mondo accademico per sostenere le PMI nel percorso verso una rendicontazione di sostenibilità più consapevole e accessibile. Università e centri di ricerca sono impegnati a colmare il divario tra obblighi regolatori e capacità operative, traducendo la teoria in strumenti pratici e accompagnando le imprese nella comprensione e nell’applicazione dei principi ESG. Grazie a queste iniziative, la sostenibilità non resta confinata ai grandi gruppi multinazionali, ma diventa patrimonio diffuso, radicato nei territori e nelle filiere produttive locali. È in questi spazi di collaborazione e conoscenza che si costruisce il futuro della rendicontazione europea: inclusivo, rigoroso e capace di generare valore reale.