Report d’impatto. Struttura tipica e approcci
In assenza di una normativa specifica o di un obbligo di adozione, i report d’impatto hanno assunto nel tempo forme e contenuti eterogenei. Analizzarne la struttura permette di comprendere se stia emergendo un modello condiviso o se, al contrario, prevalga ancora un approccio fortemente personalizzato da parte delle imprese.
In assenza di una normativa specifica o di un obbligo di adozione, i report d’impatto hanno assunto nel tempo forme e contenuti eterogenei. Analizzarne la struttura permette di comprendere se stia emergendo un modello condiviso o se, al contrario, prevalga ancora un approccio fortemente personalizzato da parte delle imprese.
Di seguito si presentano i principali elementi emersi dall’esame dei documenti.
Struttura tipica del report d’impatto
Gli elementi di base di un report d’impatto sono:
- Messaggio del CEO: Questa sezione illustra:- le motivazioni sottostanti alla pubblicazione del report;
- i principali risultati economici raggiunti;
- l’impatto generato dalle attività aziendali, spesso quantificato come contributo al PIL.
 
- Panoramica sull’azienda: Riporta informazioni organizzative e contesto operativo dell’impresa.
- Nota metodologica: Descrive l’approccio adottato per la rendicontazione, illustrando i principi seguiti nella raccolta e nell’analisi dei dati.
- Executive summary: Sintetizza i punti salienti del report, evidenziando indicatori chiave come il contributo al PIL, il totale delle entrate fiscali generate e il numero di posti di lavoro supportati. Altri indicatori possono variare in base alle specifiche iniziative e attività dell’azienda.
- Rendicontazione degli impatti: La parte centrale del report è generalmente articolata in tre sezioni principali: impatti economici, sociali e ambientali. Tuttavia, l’attenzione attribuita a ciascuna dimensione varia a seconda del settore e delle priorità aziendali. Per esempio, per Airbnb prevalgono gli impatti sociali ed economici, come l’indotto sulle economie locali o l’inclusione sociale; per Kering, leader nel settore del lusso, l’attenzione è invece concentrata sugli impatti ambientali, come le emissioni lungo la filiera produttiva. Un modello misto è quello di Poste Italiane, il cui report si compone di una parte generale riferita all’impatto economico e sociale complessivo (occupazione, PIL, contribuzione fiscale) e di una sezione dedicata a progetti specifici. In alcuni casi, soprattutto tra le aziende statunitensi, non viene operata una distinzione netta tra le diverse dimensioni d’impatto. Dopo una sezione introduttiva generale, il report si concentra su iniziative selezionate, senza una classificazione rigida in categorie economiche, sociali o ambientali.
- Certificazioni e verifica esterna: Include eventuali attestazioni, audit o certificazioni di terze parti a supporto dell’affidabilità dei dati e delle informazioni riportate.
Metodologie di monetizzazione dell’impatto
Una delle sezioni chiave di un report d’impatto è la nota metodologica, in cui viene spiegata la metodologia di riferimento adottata dall’azienda. La scelta del metodo influisce direttamente sul modo in cui gli impatti vengono monetizzati e rappresenta uno degli elementi di differenziazione tra i report, riflettendosi sulla struttura complessiva del documento.
Per esempio:
- Input-Output 
- Integrated Profit & Loss (IP&L) - IP&L Statement: presenta in forma tabellare tutti gli impatti materiali; 
- Stakeholder Value Creation Overview: collega gli impatti agli stakeholder coinvolti; 
- Sustainability Statement for External Costs: quantifica i costi sociali e ambientali; 
- Sustainability Statement for SDG Contribution: evidenzia il contributo agli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). 
 
- True Value 
I report basati su questo approccio suddividono sistematicamente gli impatti in tre categorie – diretti, indiretti e indotti – e dedicano sezioni specifiche a ciascuna.
Questo metodo prevede quattro sottocapitoli principali:
Utilizza una rappresentazione grafica (True Value Bridge) per mostrare il valore netto generato da un’iniziativa. Gli impatti positivi corrispondono ai costi evitati, quelli negativi ai costi aggiuntivi; il confronto tra i due permette di calcolare il True Value, ossia il valore netto creato per la collettività.
Tra i report analizzati, l’approccio Input-Output risulta il più diffuso. Di conseguenza, le metriche comunemente impiegate si concentrano su quattro dimensioni chiave: il contributo al PIL, il numero di posti di lavoro sostenuti, i compensi da lavoro (inclusi salari e benefici) e le tasse versate ai diversi livelli di governo. Anche nei casi in cui questa metodologia non venga adottata formalmente, il contributo al PIL è quasi sempre riportato, a conferma di una maggiore maturità metodologica nella dimensione economica rispetto a quella ambientale e sociale. Ciò dimostra come gli impatti economici siano generalmente preferiti e maggiormente rappresentati nelle pratiche di rendicontazione.
Al contrario, gli impatti ambientali sono raramente monetizzati. Quando presenti, le valutazioni economiche si concentrano su aspetti specifici, come le emissioni in atmosfera, l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, il consumo idrico e il relativo inquinamento. La monetizzazione di questi impatti è meno diffusa per due motivi principali:
- in primo luogo, si tratta spesso di esternalità negative, ovvero costi ambientali (come inquinamento, degrado o sfruttamento di risorse) più che benefici economici diretti; 
- in secondo luogo, la quantificazione e monetizzazione degli impatti ambientali richiede l’utilizzo di modelli avanzati e stime basate su ipotesi complesse e proiezioni future, che rendono il processo meno immediato, meno standardizzabile e più soggetto a variabilità metodologica rispetto a quanto avviene con gli impatti economici. 
Per quanto riguarda il campione di aziende americane (S&P 500), emerge una differenza significativa: in nessuno dei report analizzati vengono riportate monetizzazioni di impatti ambientali. Tuttavia, è frequente la presenza di riferimenti a investimenti in iniziative sostenibili, come progetti di transizione energetica, efficienza ambientale o innovazione green, che risultano meno ricorrenti nei report europei. Allo stesso modo, nei report statunitensi è più comune trovare sezioni dedicate a donazioni, attività benefiche e iniziative a favore della diversità e dell’inclusione; tuttavia, anche in questo caso, non è prevista una monetizzazione dei ritorni sociali.
È importante contestualizzare queste evidenze tenendo conto del periodo di pubblicazione dei report analizzati, risalente a prima del 2025. Negli ultimi mesi, infatti, il contesto geopolitico e culturale, in particolare negli Stati Uniti, è profondamente mutato. Le elezioni americane hanno segnato un cambio di rotta significativo, alimentando una corrente critica nei confronti delle iniziative ESG più esplicite, spesso associate alla cosiddetta “woke culture”. Tali tematiche sono oggi al centro di un intenso dibattito politico e finanziario, che vede messa in discussione l’opportunità di includere criteri ambientali e sociali nelle scelte di investimento e nelle strategie aziendali. A conferma di questa tendenza, diversi grandi operatori finanziari e istituzioni stanno progressivamente abbandonando alleanze internazionali per la finanza sostenibile, come la Net Zero Asset Managers Initiative, segnalando un possibile disimpegno rispetto agli impegni climatici e sociali assunti negli anni precedenti.
Tale scenario rende evidente come le pratiche di rendicontazione d’impatto siano oggi influenzate non solo da fattori tecnici e metodologici, ma anche da dinamiche politiche, ideologiche e culturali.
Ambiti di rendicontazione
Le differenze nella struttura dei report emergono anche in relazione alla profondità e al perimetro della rendicontazione. Alcune aziende forniscono dati aggregati a livello globale, con successiva suddivisione per Paese, area geografica o singolo stabilimento, garantendo così una visione completa e dettagliata delle performance. Altre organizzazioni, invece, concentrano l’analisi su progetti specifici o mercati di riferimento, limitando l’ambito della rendicontazione a iniziative o contesti selezionati.
Verifica, trasparenza e governance del processo
Un elemento di crescente importanza nella rendicontazione d’impatto è la certificazione e validazione esterna dei dati. Non tutte le aziende si affidano a terze parti per la verifica: alcune collaborano con enti indipendenti come Oxford Economics, KPMG o PwC, mentre altre sviluppano internamente il proprio report.
Tra le aziende analizzate, Prologis e General Motors (campione statunitense), insieme a Diageo e Zalando (campione europeo), affidano la redazione e pubblicazione del report a una società terza, Oxford Economics. Quest’ultima adotta una metodologia standardizzata basata sull’approccio Input-Output, che garantisce una struttura coerente e comparabile tra i vari report.
La struttura tipica prevede:
- suddivisione in capitoli dedicati agli impatti diretti, indiretti e indotti; 
- sintesi finale dell’impatto complessivo, calcolato come somma delle tre componenti. 
Sebbene la pubblicazione avvenga tramite Oxford Economics, le aziende riprendono il contenuto del report sui propri siti istituzionali, fornendo spesso un link diretto al documento completo. In questo modo assicurano trasparenza e accessibilità dei dati agli stakeholder.
Integrazione nella reportistica aziendale
Nei due contesti analizzati, la maggior parte dei report d’impatto pubblicati dalle aziende è costituita da documenti standalone, separati rispetto al bilancio finanziario tradizionale. Tuttavia, accanto a questi report autonomi, molte imprese scelgono di integrare parzialmente le informazioni sull’impatto all’interno del bilancio annuale o nella sezione dedicata agli investitori (Investor Relations) dei propri siti web.
Questa forma di integrazione si riscontra in particolare quando le informazioni relative all’impatto risultano materiali per il business, ossia strategicamente rilevanti o potenzialmente in grado di influenzare le decisioni degli investitori e la percezione del mercato. In tali casi, rendere visibile e quantificabile il valore sociale o ambientale associato a progetti, iniziative o attività operative consente alle aziende non solo di rafforzare la propria credibilità presso gli stakeholder finanziari, ma anche di posizionarsi in modo distintivo come attori responsabili, impegnati nella creazione di valore sostenibile nel lungo periodo.
Conclusioni
Dall’analisi dei report d’impatto pubblicati dalle aziende appartenenti agli indici EURO STOXX 600 e S&P 500 emerge una sostanziale eterogeneità, influenzata da diversi fattori, tra cui il perimetro di rendicontazione, la metodologia impiegata e il core business dell’organizzazione, che incide direttamente sulla natura degli impatti rendicontati. Ciò testimonia come la rendicontazione d’impatto rappresenti una frontiera emergente della rendicontazione aziendale. Sebbene l’utilizzo di metodologie riconosciute non sia ancora uniforme, si tratta di un passo fondamentale verso una comunicazione più oggettiva, comparabile e trasparente degli effetti generati dalle attività aziendali.